@ecologisti copyright "il verde non è rosso"! 
Capitolo 1

Per descrivere e trattare della nostra storia, e della mia storia personale , oggi, in qualità di  Presidente degli Ecologisti, lascio la parola al dr. Gabriele Maestri, ricercatore alla Facoltà di Scienze politiche di Roma Tre, saggista , pubblicista ed appassionato di politica e storia dei partiti. Lo scioglimento dei Verdi liberaldemocratici, prima esperienza in Italia di un movimento programmatico,  alternativo ai verdi rossi, mi portò a confluire , non per amore,  nei Verdi Verdi, avendone ben compreso tutti i rischi, e le conferme non tardarono ad arrivare. Ma la politica è,  con i mezzi a disposizione di portare avanti, fino a quando è possibile, un progetto, una idea , perchè di quei valori sei fortemente e convintamente intriso!!! 

Il movimento verde in Italia , si tinse ben presto di rosso, e questo fu il vero motivo , perchè venne immediatamente ricacciato nel suo alveo, fino a sparire!  Il verde non può avere colore, ma soprattutto il verde non è rosso, nè nero, ed è per questo che dal dieci per cento iniziale di questa nuova componente , ben presto , smascherata dal sistema maggioritario, a sinistra della sinistra, perse quella carica propulsiva . Il movimento verde, aveva a  suo modo  anticipato il sistema maggioritario. Per primi si erano posti al di fuori degli schemi ideologici, e delle contrapposizioni sterili di destra e sinistra . La gente stanca di queste sterili divisioni, stanca delle ideologie,aveva sposato l'ambiente , "un programma , prima ancora che un partito"!

Questa è la prima intervista del dr Gabriele Maestri, fonte: http://www.isimbolidelladiscordia.it/2013/03/quando-il-verde-non-e-rosso.html :

Un orsetto, tanto pacifico e sorridente all'apparenza, si era trasformato in una vera spina nel fianco. A ogni elezione che si svolgesse anche in Piemonte, Maurizio Lupi si presentava con il suo simbolo dei Verdi Verdi e prendeva voti. "Sottraendoli con l'inganno alla Federazione dei Verdi", secondo gli attivisti del Sole che ride. Nel 2003 la partita rischiò di farsi davvero insidiosa. Ai Verdi Verdi, infatti, si erano riavvicinati Roberto De Santis e parte di coloro che avevano dato vita all'esperienza dei Verdi liberaldemocratici: c'erano le basi per un percorso politico comune che, sulla carta, poteva portare grossi cambiamenti sul fronte ambientalista.Non era un "matrimonio d'amore", quello tra Lupi e De Santis: lo racconta proprio quest'ultimo, nel suo libro Da una "grigia" a una "verde" politica. "Lupi non aveva una precisa identità culturale, ma solo fini personalistici. Questo ci permetteva, garantendogli quello spazio elettorale di cui aveva bisogno, di avere mani libere nel costruire un percorso politico ,  dotandolo di uno specifico programma e dunque di un’anima. Il contenitore dei Verdi Verdi, almeno formalmente poiché da sempre storicamente presenti, poteva dare maggiore credibilità al progetto". De Santis ci avrebbe messo le idee e l'elaborazione teorica del programma, Lupi il simbolo storico e la notorietà: potenzialmente ne avrebbero guadagnato entrambi.

Non devono aver avuto una vita facile, i Verdi Verdi , anche in versione "allargata": con il Sole che ride da anni schierato con la sinistra, la lista dell'orsetto continuava a salutare ma spesso lo faceva da un'alleanza di centrodestra o, comunque, in quel modo erano considerati dai simpatizzanti della Federazione dei Verdi. "Non esisteva ancora culturalmente e sotto il profilo programmatico, un approccio alle questioni ambientali con un taglio e profilo in netta antitesi al pensiero ideologico dominante - riconosce De Santis - eppoi in questo paese c'è sempre il bisogno di confinarti in una categoria: se non sei di destra, sei di sinistra e viceversa. Ma non avevamo altri mezzi, pertanto eravamo senza via d’uscita".

Lo capì bene proprio Roberto De Santis, quando - da segretario nazionale dei Verdi Verdi - si candidò alle elezioni provinciali di Roma:

come slogan della sua campagna elettorale scelse due affermazioni quasi in antitesi, da una parte "L'ambiente non ha colore", dall'altra"Il Verde non è rosso". 

Quella volta i Verdi Verdi dovettero accontentarsi di 5418 voti, lo 0,56% dei consensi totali; De Santis come candidato presidente superò le 6mila preferenze, ma la percentuale si fermò allo 0.51%.Roma e Piemonte a parte, il partito avrebbe voluto estendersi territorialmente per acquistare più spazio:per essere sicuri di partecipare alle elezioni, però, occorrevano le firme.

Operazione brigosa e che rischia di non pagare, se alla fine non si elegge nessuno (soprattutto perché nessuno ti aiuta, se pensa di non vedere risultati).

Eppure nel 2004 il salto di qualità era quasi a portata di mano: c'era il turno più nutrito delle elezioni amministrative e, soprattutto, si votava per rinnovare il Parlamento europeo. I Verdi Verdi sarebbero stati della partita, ma la storia merita di essere raccontata a parte.

fonte: http://www.isimbolidelladiscordia.it/2013/03/quando-il-verde-non-e-rosso.html





Capitolo 2

Fonte Gabriele Maestri http://www.isimbolidelladiscordia.it/2013/03/i-verdi-verdi-e-la-pulce-gigante.html

I Verdi-Verdi e la pulce gigante

Lo si è visto prima: il 2004, con il doppio carico del turno più consistente di elezioni amministrative e il rinnovo del Parlamento europeo, era un’occasione troppo ghiotta per gli ambientalisti diversi dai Verdi perché se la lasciassero sfuggire

Le amministrative, tutto sommato, erano alla portata delle formazioni in attività fino a quel momento, ma per le europee ci sarebbe stato bisogno di raccogliere molte, troppe firme: un traguardo praticamente impossibile da raggiungere. A meno che…

 



C’era una possibilità, in effetti: sfruttare un comma della legge elettorale vigente, che permetteva a una lista di non procurarsi le sottoscrizioni richieste se avessero ospitato nel loro contrassegno una “pulce”, ossia un simbolo in miniatura di una formazione che aveva eletto almeno un parlamentare. Già, ma quale simbolo?

Quale dei partiti avrebbe avuto interesse ad avallare la presentazione di una lista minoritaria? Forza Italia, per esempio, che aveva tutto da guadagnare da un indebolimento dei Verdi

. Non avrebbe messo a disposizione il suo simbolo, ovviamente, ma quello della lista «Per l'abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni»: si trattava della “lista civetta” che era stata utilizzata dal partito di Berlusconi nel 2001 per collegare i propri candidati deputati della quota maggioritaria, senza quindi che i loro voti fossero sottratti nella quota proporzionale in base al sistema dello “scorporo”.

 


Il simbolo, dunque, sarebbe stato a disposizione dei Verdi-Verdi di Maurizio Lupi e di Roberto De Santis, nonché dei Verdi Federalisti di Laura Scalabrini, invitati a riavvicinarsi sempre da ambienti forzisti. La prima decisione del gruppo riguardò la scelta del simbolo, non senza liti: se Lupi avrebbe voluto mantenere l’elemento grafico dell’orsetto (lasciando la dicitura Verdi Federalisti come elemento testuale), passò la linea di De Santis, che preferì lasciare la parte grafica alla Scalabrini, con il suo girotondo di bambini, per privilegiare invece il nome dei Verdi-Verdi («La denominazione era una scelta chiaramente identificativa della nostra collocazione e del nostro approccio e antitetica ai Verdi rossi» avrebbe raccontato in seguito proprio De Santis).


Naturalmente la Federazione dei Verdi fece debitamente ricorso in tutte le sedi, tanto alle elezioni amministrative (comune per comune), quanto a quelle europee. Protestò con veemenza Paolo Cento in Parlamento, sentendosi dire dal forzista Gregorio Fontana che «i movimenti Verdi Federalisti e Verdi Verdi da molti anni si presentano a consultazioni elettorali […] e rappresentano, com'è noto, l’ambientalismo non schierato a sinistra, non integralista e che, a livello politico nazionale, sostiene la Casa delle libertà. Nessuna truffa, quindi, nessun imbroglio riguardo alla presentazione di questo simbolo per le elezioni europee», mentre i Verdi avrebbero solo voluto estromettere un potenziale concorrente dalle elezioni.



In prima battuta, tra l’altro, a essere escluso dalla consultazione più importante fu proprio il simbolo del sole che ride, perché era stata inserita dicitura «con l’Ulivo» senza che i Verdi facessero parte dell’alleanza: il tempo per i Verdi-Verdi di distribuire alla stampa una nota dal titolo memorabile («Caro Alfonso non fare il Pecoraro») e il contrassegno fu debitamente modificato e accettato, ma l’offensiva presso le corti di tutta l’Italia continuò. In qualche modo la strategia pagò: i Verdi riuscirono a far considerare confondibile quasi ovunque – per colpa dei colori e della parola «Verdi» in particolare evidenza – il contrassegno composito della nuova formazione ambientalista, estromettendola dalle elezioni. Alle europee, invece, andò diversamente, ma la vicenda fu se possibile ancora più complessa.

Dopo che l’ufficio elettorale presso la Cassazione aveva riconosciuto che «la parola “verdi”, […] appartenendo ad una vasta area politico-culturale a livello sia nazionale che europeo, non è in sé fattore individualizzante decisivo» e che i due emblemi non erano a ben guardare confondibili, in una manciata di giorni

il Consiglio di Stato praticamente ribaltò il verdetto: non solo i giudici di palazzo Spada ritennero che i due contrassegni si potessero in effetti confondere, ma aggiunsero che ciò si sarebbe potuto evitare ingrandendo a dovere il simbolo della “lista antiscorporo”, anche perché proprio grazie a questo è stata evitata la raccolta delle firme.



La decisione, piuttosto inconsueta per il contenzioso noto fino a quel momento, avrebbe comunque permesso alla lista ambientalista di partecipare alle elezioni, ma solo ingigantendo la “pulce”. La soluzione, a dirla tutta, non soddisfò comunque i Verdi, che presentarono un’interrogazione urgente, lamentando di non aver avuto la possibilità di ricorrere contro l’ammissibilità di un emblema ritenuto ancora troppo confondibile. Soprattutto, però, a masticare molto amaro fu la lista “ammessa su condizione”, un po’ perché il potenziale dell’operazione politico-elettorale era stato inevitabilmente ridotto, un po’ per alcuni fatti accaduti in quegli stessi giorni: il racconto è di nuovo di Roberto De Santis, nel suo libro Da una “grigia” a una “verde” politica:

«Era chiaro che eravamo stati abbandonati al nostro destino, anche perché i Verdi del sole che ride misero in atto una serie di manifestazioni attaccando pesantemente il premier Berlusconi e a bordo di gommoni circondarono la sua villa in Sardegna, oggetto di recenti e profonde ristrutturazioni. La villa era stata trasformata in un bunker di tutta sicurezza e i Verdi del sole che ride minacciarono azioni e denunce per opere realizzate in totale violazioni di leggi ambientali. Per Forza Italia poteva essere un’arma a doppio taglio e dal Ministero degli Interni, dove sedeva un esponente dello stesso partito, ci arrivò questa insolita richiesta [di modificare il simbolo, ndb]».

Alle elezioni la lista, senza mezzi e senza manifesti, sfiorò lo 0,5%; la Fiamma tricolore, con lo 0,8% ottenne un parlamentare, Verdi-Verdi e Verdi federalisti niente, con varie recriminazioni in fase di scrutinio («Si scoprì che in molte sezioni, dove il voto era attribuito ai Verdi Verdi, veniva diversamente assegnato ai “cugini” del sole che ride – racconta ancora De Santis – furono circa diecimila le schede contestate che, se attribuite correttamente, avrebbero probabilmente coronato il nostro progetto»). I Verdi, ovviamente, respinsero categoricamente ogni accusa di broglio o indebito vantaggio, ma si sentivano comunque tranquilli: con quell’ordinanza nel carniere, da lì in avanti sarebbe stato più facile evitare altre grane “simboliche”. Manco a dirlo, ci avevano preso.

fonte: http://www.isimbolidelladiscordia.it/2013/03/i-verdi-verdi-e-la-pulce-gigante.html

Capitolo 3

I Verdi-Verdi e la pulce gigante

Lo si è visto prima: il 2004, con il doppio carico del turno più consistente di elezioni amministrative e il rinnovo del Parlamento europeo, era un’occasione troppo ghiotta per gli ambientalisti diversi dai Verdi perché se la lasciassero sfuggire

Le amministrative, tutto sommato, erano alla portata delle formazioni in attività fino a quel momento, ma per le europee ci sarebbe stato bisogno di raccogliere molte, troppe firme: un traguardo praticamente impossibile da raggiungere. A meno che…

 



C’era una possibilità, in effetti: sfruttare un comma della legge elettorale vigente, che permetteva a una lista di non procurarsi le sottoscrizioni richieste se avessero ospitato nel loro contrassegno una “pulce”, ossia un simbolo in miniatura di una formazione che aveva eletto almeno un parlamentare. Già, ma quale simbolo?

Quale dei partiti avrebbe avuto interesse ad avallare la presentazione di una lista minoritaria? Forza Italia, per esempio, che aveva tutto da guadagnare da un indebolimento dei Verdi

. Non avrebbe messo a disposizione il suo simbolo, ovviamente, ma quello della lista «Per l'abolizione dello scorporo e contro i ribaltoni»: si trattava della “lista civetta” che era stata utilizzata dal partito di Berlusconi nel 2001 per collegare i propri candidati deputati della quota maggioritaria, senza quindi che i loro voti fossero sottratti nella quota proporzionale in base al sistema dello “scorporo”.

 


Il simbolo, dunque, sarebbe stato a disposizione dei Verdi-Verdi di Maurizio Lupi e di Roberto De Santis, nonché dei Verdi Federalisti di Laura Scalabrini, invitati a riavvicinarsi sempre da ambienti forzisti. La prima decisione del gruppo riguardò la scelta del simbolo, non senza liti: se Lupi avrebbe voluto mantenere l’elemento grafico dell’orsetto (lasciando la dicitura Verdi Federalisti come elemento testuale), passò la linea di De Santis, che preferì lasciare la parte grafica alla Scalabrini, con il suo girotondo di bambini, per privilegiare invece il nome dei Verdi-Verdi («La denominazione era una scelta chiaramente identificativa della nostra collocazione e del nostro approccio e antitetica ai Verdi rossi» avrebbe raccontato in seguito proprio De Santis).


Naturalmente la Federazione dei Verdi fece debitamente ricorso in tutte le sedi, tanto alle elezioni amministrative (comune per comune), quanto a quelle europee. Protestò con veemenza Paolo Cento in Parlamento, sentendosi dire dal forzista Gregorio Fontana che «i movimenti Verdi Federalisti e Verdi Verdi da molti anni si presentano a consultazioni elettorali […] e rappresentano, com'è noto, l’ambientalismo non schierato a sinistra, non integralista e che, a livello politico nazionale, sostiene la Casa delle libertà. Nessuna truffa, quindi, nessun imbroglio riguardo alla presentazione di questo simbolo per le elezioni europee», mentre i Verdi avrebbero solo voluto estromettere un potenziale concorrente dalle elezioni.



In prima battuta, tra l’altro, a essere escluso dalla consultazione più importante fu proprio il simbolo del sole che ride, perché era stata inserita dicitura «con l’Ulivo» senza che i Verdi facessero parte dell’alleanza: il tempo per i Verdi-Verdi di distribuire alla stampa una nota dal titolo memorabile («Caro Alfonso non fare il Pecoraro») e il contrassegno fu debitamente modificato e accettato, ma l’offensiva presso le corti di tutta l’Italia continuò. In qualche modo la strategia pagò: i Verdi riuscirono a far considerare confondibile quasi ovunque – per colpa dei colori e della parola «Verdi» in particolare evidenza – il contrassegno composito della nuova formazione ambientalista, estromettendola dalle elezioni. Alle europee, invece, andò diversamente, ma la vicenda fu se possibile ancora più complessa.

Dopo che l’ufficio elettorale presso la Cassazione aveva riconosciuto che «la parola “verdi”, […] appartenendo ad una vasta area politico-culturale a livello sia nazionale che europeo, non è in sé fattore individualizzante decisivo» e che i due emblemi non erano a ben guardare confondibili, in una manciata di giorni

il Consiglio di Stato praticamente ribaltò il verdetto: non solo i giudici di palazzo Spada ritennero che i due contrassegni si potessero in effetti confondere, ma aggiunsero che ciò si sarebbe potuto evitare ingrandendo a dovere il simbolo della “lista antiscorporo”, anche perché proprio grazie a questo è stata evitata la raccolta delle firme.



La decisione, piuttosto inconsueta per il contenzioso noto fino a quel momento, avrebbe comunque permesso alla lista ambientalista di partecipare alle elezioni, ma solo ingigantendo la “pulce”. La soluzione, a dirla tutta, non soddisfò comunque i Verdi, che presentarono un’interrogazione urgente, lamentando di non aver avuto la possibilità di ricorrere contro l’ammissibilità di un emblema ritenuto ancora troppo confondibile. Soprattutto, però, a masticare molto amaro fu la lista “ammessa su condizione”, un po’ perché il potenziale dell’operazione politico-elettorale era stato inevitabilmente ridotto, un po’ per alcuni fatti accaduti in quegli stessi giorni: il racconto è di nuovo di Roberto De Santis, nel suo libro Da una “grigia” a una “verde” politica:

«Era chiaro che eravamo stati abbandonati al nostro destino, anche perché i Verdi del sole che ride misero in atto una serie di manifestazioni attaccando pesantemente il premier Berlusconi e a bordo di gommoni circondarono la sua villa in Sardegna, oggetto di recenti e profonde ristrutturazioni. La villa era stata trasformata in un bunker di tutta sicurezza e i Verdi del sole che ride minacciarono azioni e denunce per opere realizzate in totale violazioni di leggi ambientali. Per Forza Italia poteva essere un’arma a doppio taglio e dal Ministero degli Interni, dove sedeva un esponente dello stesso partito, ci arrivò questa insolita richiesta [di modificare il simbolo, ndb]».

Alle elezioni la lista, senza mezzi e senza manifesti, sfiorò lo 0,5%; la Fiamma tricolore, con lo 0,8% ottenne un parlamentare, Verdi-Verdi e Verdi federalisti niente, con varie recriminazioni in fase di scrutinio («Si scoprì che in molte sezioni, dove il voto era attribuito ai Verdi Verdi, veniva diversamente assegnato ai “cugini” del sole che ride – racconta ancora De Santis – furono circa diecimila le schede contestate che, se attribuite correttamente, avrebbero probabilmente coronato il nostro progetto»). I Verdi, ovviamente, respinsero categoricamente ogni accusa di broglio o indebito vantaggio, ma si sentivano comunque tranquilli: con quell’ordinanza nel carniere, da lì in avanti sarebbe stato più facile evitare altre grane “simboliche”. Manco a dirlo, ci avevano preso.


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