@ecologisti copyright "il verde non è rosso"! 

Il nostro Programma


Capitolo 1
"Rapporto Economia Ambiente!

Circa 13 milioni di disoccupati, due milioni di miliardi di debito, senza calcolare quello delle Regioni e degli Enti locali. La crescita del prodotto interno lordo a quota zero una deindustrializzazione in atto, la perdita di competitività nel mercato interno ed internazionale di molti nostri settori economici. Se questa e' la situazione la domanda conseguenziale è: l’ambiente può essere un occasione che contribuisca al rilancio dell’economia, alla riduzione del debito pubblico, alla riduzione della piaga dello statalismo, del contralismo, della inefficienza dello stato?

La questione ambientale può diventare uno dei processi fondamentali di realizzazione in ITALIA di una politica liberaldemocratica contribuendo a realizzare cosi' uno STATO LEGGERO. Si arrivera'alla fine del dominio delle municipalizzate, seguendo criteri di imprenditorialità ponendo cosi' il privato ed il pubblico in libera concorrenza con tutti quei vantaggi nei termini di qualità dei servizi, dei costi, ecc.....

Dobbiamo essere pienamente consapevoli che il problema non è tanto di natura culturale, scientifico o tecnico di capacità di diagnosi e terapie adeguate , ma essenzialmente di disporre della maggioranza politico-parlamentare e quindi di governo del paese. Se un bilancio deve essere fatto, di questi ultimi dieci anni di politica ambientale, esso è quasi del tutto fallimentare. Il dominio politico-culturale sia nelle forze di ispirazione cattolica, sia di ispirazione comunista e socialista è di un atteggiamento anti-capitalista, anti-industriale. Un atteggiamento di diffidenza se non di una vera e propria morale che ha visto nel profitto, nella produzione e accumulazione di ricchezza, il male. Che ha visto nella libera impresa, nell’affermazione di una concezione e pratica dello STATO in senso liberalista e imprenditoriale un qualcosa di cui diffidare. Che ha attribuito al sistema industriale, assunto nel suo complesso, la responsabilità del degrado ambientale, dello sfruttamento della natura.

Una concezione morale che ha bollato tutto ciò in senso negativo, abbinato ad una convenzione che il pubblico “è meglio”, ha rappresentato la miscela esplosiva e anti-moderna. Questo ha prodotto per lo stato il ruolo di istituzione, che ha incarnato il difensore della natura sfruttata, il giustiziere contro l’attacco predatorio del sistema economico, il baluardo etico, politico, giuridico, istituzionale, amministrativo. Il San Giorgio che sconfigge il drago della economia cattiva e sfruttatrice , risultato: lo statalismo ambientale, lo pseudo-dirigismo , e la pseudo-pianificazione CENTRALISTICA dell' ambiente. Un garantismo giuridico-legislativo sfociato in un bizantinismo e in una selva legislativa caotica e frammentaria che ha prodotto la illegalita' ambientale diffusa. Una politica ambientale tradottasi in un puro bilancio difensivo, diseconomico, una gestione monopolistica e sovietica dei servizi ambientali tramite le municipalizzate. Vi e' stata la totale assenza di una politica ambientale volta a coniugare profitto d’impresa con riduzione dell’inquinamento ambientale, crescita economica, aumento del prodotto interno lordo con prevenzione ambientale. Di una politica che coniughi crescita dell’industria della difesa ambientale con aumento della competitività interna ed esterna della nostra economia nei riguardi della concorrenza internazionale.

L’assenza di tutto ciò non è causale. Il nuovo schieramento così detto PROGRESSISTA porta con se tutti questi mali. Li porta geneticamente, culturalmente, come vissuto . Tutto ciò va combattuto e vinto, diversamente il nostro primato culturale , “per un’economia ecologica di mercato” , sarà vano.

I capisaldi fondamentali della nostra proposta sono tutti interni ad una visione federalista, sull’abbattimento del centralismo, sul liberalismo, sul rilancio totale delle autonomie regionali e degli altri enti territoriali che sono a contatto con le esigenze delle imprese e dei cittadini.

La presa d’atto è che la questione ambientale è diventata elemento strutturale sia della produzione che del mercato. Tutta l’evoluzione economica, giuridica-legislativa-culturale di tutti i paesi che fanno parte dell’OCSE va nella direzione di un mercato futuro con cui dovremo fare i conti. Nell’ambito di tale mercato la “qualità ambientale” sarà fattore di competizione interna ed esterna. Per questo le risposte devono essere pragmatiche rapide ed efficaci. Nostro obiettivo sarà riscoprire e definire le capacità autoregolative del mercato, senza per questo attribuire a questo meccanismo quei poteri taumaturgici che un certo liberalismo spinto ha teorizzato.


Capitolo 2

"Aree Protette , difesa del suolo, caccia"

"Aree protette "

La concezione dei parchi cattedrale racchiude in sé in realtà la totale incapacità di pensare all ambiente, come una sola cosa, in osmosi e non in totale contrapposizione. Questo approccio evidenzia la totale mancanza di capacità di gestire il rapporto uomo natura, dove non si capisce e comprende il ruolo affidato alla specie umana nella conservazione del nostro pianeta. Di fatto sì sospende ogni approccio gestionale e si creano dei territori che vengono consacrati e messi sotto naftalina. Un approccio ovviamente protezionista che esula da qualsiasi logica conservazionista. Il conservazionismo è una scienza, il protezionismo è animato da visioni etiche senza alcun fondamento. In questo modo si è creata una dualità tra specie animali e vegetali e specie umana dall altra in netta antitesi, senza visione di soluzione. Il territorio si protegge in realtà scommettendo sullo sviluppo e sulla scienza che devono gettare le basi per dare vita ad un progetto osmotico. L uomo ha il dovere di creare dei sistemi ad impatto ambientale zero a ciclo chiuso. Oggi, per assurdo, nelle aree protette i pannelli solari per le abitazioni non possono essere usati perché impattanti!
Si costruiscono case con materiali che hanno un forte impatto ambientale, quando si potrebbero realizzare abitazioni perfettamente integrate con il paesaggio ad impatto zero.
Oggi per assurdo si vieta di costruire nelle aree protette, perché un finto ed inverecondo protezionismo considera le costruzioni impattanti, quando poi in tali aree si spandono pesticidi,diserbanti ed ogni genere di veleni che sono la vera causa della rarefazione delle specie viventi. Per usare un paradosso, le lucciole pur se non specie cacciabili, sono sparite per il forte inquinamento dettato dall agricoltura. Le lontre, allo stesso modo, non sono più presenti nelle nostre acque perché avvelenate da numerosi fonti inquinanti. 
Tutti animali che sono i cosiddetti indicatori dello stato di salute dell ambiente. Dei veri termometri. Questo approccio protezionista si scaglia contro luoghi comuni per demagogia, come ad esempio la caccia, ben sapendo che non può attaccare la forte lobby degli agricoltori e di tutte le aziende dell indotto. Ma così facendo si mistifica e si perde la misura delle cose,quando diversamente senza colpevolizzare nessuna categoria, si potrebbe acquisire coscienza e trovare le soluzioni. Non è un caso che specie cacciabili come i cinghiali hanno invaso le nostre città e questo dimostra che non è la caccia la causa delle rarefazioni di molte specie viventi. Non è un caso che orsi e lupi hanno colonizzato il nostro territorio, ma la ragione è che con la l abbandono delle campagne vi è stato un forte rimboschimento che ha incrementato tali specie che vivono nelle foreste. Dunque non è la caccia il problema, ma la gestione delle risorse. 
L aumento dei tumori e delle malattie è una drastica conseguenza dell inquinamento atmosferico e dei veleni che si gettano sui terreni e nelle acque che ovviamente ritroviamo nei nostri prodotti alimentari. 
Le aree protette sono state trasformate da un certo ambientalismo di facciata in enti inutili, dove trovano rifugio trombati della politica ed assumifici, dove si alimenta il clientelismo. Enti inutili dove si scaricano sulla collettività studi e ricerche senza alcuna soluzione. Ad esempio acquisire dati sulla presenza di una determinata specie su un dato territorio non porta ad alcuna conseguenza, se non una spesa per la collettività, se non si interviene per rimuovere gli elementi ostativi. Ad esempio il forte numero di cinghiali, ha un effetto impattante per tutte quelle specie animali che nidificano a terra. Tantissime uova di numerose specie vengono divorare dai cinghiali di cui sono ghiotti! 
Se in una area protetta vi sono tante zone a coltivazione intensiva, ad esempio di grano, con la trebbiatura, tutti i nidi, vengono distrutti, piccoli di capriolo investiti etc etc. 
I costi di tali enti pertanto influiscono in una sana gestione e le risorse disponibili per lo più assorbite da questa inutile gestione statalista che è improduttiva. 
Senza contare il privilegio di cui godono le tante associazioni ambientaliste che hanno fatto della gestione delle aree protette un vero business. Questo anche per l enorme conflitto tra controllore e controllato. In effetti tutte le principali associazioni ambientaliste siedono nel Consiglio Nazionale del Ministero dell Ambiente dal quale ricevono cospicui finanziamenti, un conflitto di non poco conto. 
Od associazioni che gestiscono i centri di recupero rapaci. Soldi spesi inutilmente senza alcun approccio scientifico. Un rapace sparato e curato non può essere reintrodotto senza un training. È come pensare ad un corridore che una volta tolto il gesso, può tornare immediatamente a correre senza prima un adeguato recupero. Per questo negli Stati Uniti il prof Tom Cade della Cornelly University, negli anni 70 ha iniziato a riprodurre tutte quelle specie di rapaci in pericolo di estinzione, oggi con progetti in tutto il mondo, quando i nostri ambientalisti affermavano che non fosse possibile riprodurre tali specie selvatiche. 
Tra l altro il prof Tom Cade, studiando la rarefazione dei rapaci, tra cui il falco pellegrino, si rese conto che dipendeva dal forte assottigliamento del guscio delle uova, a causa del Ddt che venne per questo messo al bando!!! 
Per questo i nostri finti ambientalisti, privi di qualsiasi conoscenza ecologica ed etologica, per combattere la presenza degli storni in città, hanno utilizzato il richiamo del falco pellegrino, loro nemico naturale, amplificato a migliaia di watt, un grido non più riconoscibile in natura, forse assimilabile a qualche dinosauro ancestrale. Per questo motivo gli storni per niente impauriti non fuggono in preda al terrore. Tra l altro come Konrand Lorenz insegna, noto etologo, in natura vige il principio di causa effetto. Non è il richiamo del falco pellegrino ad incutere terrore agli storni, ma la sua sagoma stagliata nel cielo in posizione di caccia. Ed a quel punto la sola via di salvezza per gli storni è di raggiungere quanto prima una pianta dove mettersi in salvo, perché come è noto il pellegrino può cacciare le sue prede solo in volo!! 
La gestione dell allontanamento dello storno è dunque una inutile spesa a vantaggio di pochi!! La legge quadro sulle aree protette (la n. 394 del 1991), lungamente attesa, ha eluso gran parte delle aspettative, riconducendo ad una logica di potere centralista le competenze in materia delegate costituzionalmente alle Regioni, ed imponendo vincoli troppo restrittivi alle comunità locali. Gli Ambientalisti e i Federalistisi impegnano a modificare la legge sopra citata, prevedendo la più ampia competenza delle Regioni e degli Enti Locali nel gestire le aree protette che interessano il proprio ambito territoriale, sulla scorta delle convenzioni comunitarie ed intemazionali in merito.

La politica delle aree protette deve mirare a salvaguardare contemporaneamente due patrimoni:

– il patrimonio ambientale, bene prezioso anche per le generazioni future, coniugando con esso le esigenze di lavoro e di occupazione delle popolazioni dei parchi. Vanno, cioè, semplificate le autorizazioni ed incentivati gli investimenti reali per la creazione di posti di lavoro stabili , legati all’informazione, formazione ed educazione ambientale (centri visita, marchi doc, cooperative artigiane locali, centri salute, ecc.);

– il patrimonio culturale, attraverso il recupero e la valorizazione delle identità, della storia, delle tradizioni delle popolazioni dei parchi.

Un parco non va concepito come un "museo naturale", secondo l’impostazione dell’attuale "parcomania", che moltiplica le aree sottoposte a tutela per esigenze di "immagine verde" coniugate alla lottizzazione di poltrone in enti ed organismi creati artificialmente (posti ambìti e contesi con accanimento anche da che si professa "ambientalista"). In una visione di "governo globale del territorio", ispirata al concetto di "risparmio de suolo" come risorsa scarsa, che tutela l’istanza ecologica anche nelle aree non vincolate, è la responsabile usufruibilità da parte della comunità locale che fa dell’area protetta un organismo vivo, che realizza un’armonica convivenza tra uomo e ambiente naturale.

È lo stesso principio che va posto alla base della politica per la difesa del suolo: la presenza vitale dell’uomo il presupposto per un recupero degli ambienti degradati.

È indispensabile, in tema di prevenzione di dissesti, definire un consistente e continuativo sistema di incentivazione finanziaria e di sgravi fiscali.

"Caccia"

La gestione della caccia in Italia è delle riserve faunistico venatorie è altrettanto fallimentare. La legge di riferimento la 157 del 1992, non è mai stata realmente applicata, o meglio osservata. Sono state affidate, attraverso concessioni, milioni di ettari su tutto il territorio nazionale, affinché  
Il mondo venatorio osservasse dei principi condivisibili di gestione . Le somme delle quote di caccia, che dovevano essere reinvestite nell acquisire terreni per il nutrimento e la nidificazione delle specie venatorie, e per il ripopolamento, sono state deviate ed utilizzate molto spesso per fini diversi. Le riserve di caccia, che dovevano essere gestite con principi di conservazione e gestione faunistica, senza scopo di lucro, sono diventate un ottimo business per il concessionario, che ne ha tratto molto spesso del reddito personale, in contrasto con la normativa . I fagiani oggi vengono venduti dagli allevatori come pronta caccia, ovvero immessi solo poche ore prima, mentre la legge prevedeva che sulla base di un censimento della popolazione venatoria , il concessionario poteva abbattere solo una quota stabilita. 
Dunque vi è una forte responsabilità del mondo venatorio e di certe associazioni di settore, che pur consapevoli del sistema parallelo che si è creato, sono più preoccupate ad alimentare ed accrescere il numero dei tesserati, piuttosto che promuovere una cultura venatoria. Per questo motivo, un certo ambientalismo edulcorato, ha avuto terreno libero, e la caccia da pratica e cultura di gestione del territorio è oggi fortemente invisa.
Ritengo pertanto che le due forti lobby, quella venatorio e la pseudo ambientalista, pur se apparentemente l una contro l altra, giochino in realtà più di sponda per i vari interessi in campo!!!

"Animalismo"


Dissesto idrogeologico

Occorre dare impulso alla potenzialita' di alcune leggi: legge n. 183 del 18 maggio 1989, legge n. 253 del 7 agosto 1990, D.M. n. 460 del 6 ottobre 1990 e l’ultima legge sull’assetto idrogeologico, sensibilizando ed informando l’apparato burocratico perché possano realmente tradursi nella normativa di base regionale per un’attenta programmazione dell’assetto e delle risorse territoriali.

Occorre potenziare la struttura del servizio geologico (recentemente riorganizato con il D.P.R. n. 85 del 24 gennaio 1991) in modo che possa alfine qualificarsi quale effettivo strumento di supporto alla pianificazione, evitando che resti avulso dalla pratica operativa e considerato quale mero organismo di studio e rilevazione.

Occorrerà delimitare inequivocabilmente il potere del comparto della protezione civile, onde evitare, come avvenuto in molti casi che, senza l’esistenza di reali situazioni di emergenza, fossero autorizati lavori in deroga a tutte le norme di controllo ambientale e territoriale e fossero poi spese ingenti somme per opere rivelatesi ecologicamente dannose.

Il processo decisionale di tutte le operazioni da compiere relativamente alla difesa ed al risparmio del suolo deve essere verificato dagli Enti Locali, che più di ogni altra realtà istituzionale possono dirsi competenti sul territorio e che poi subiranno concretamente la decisione presa.

Capitolo 3

"Inquinamento"

 La consapevole necessità di dover affrontare razionalmente le tematiche ecologiche, nonché la stretta ed innegabile interdipendenza che esiste tra le varie istanze di tutela ambientale e quelle di altri settori, spesso in conflitto, che intervengono nello sviluppo socio-economico (territorio-urbanistica, agricoltura, industria-commercio-artigianato, energia e, anche se in misura minore, lavoro, cultura, sanità, sicurezza sociale ecc.), sono da considerarsi quali presupposti cui non si e' conferito la dovuta rilevanza e che, se invece debitamente valutati, avrebbero evitato che alle iniziative finora messe in atto conseguissero risultati deludenti, motivati appunto da una assoluta carenza di coordinamento ed organicità d’intenti. L’attenta e responsabile previsione degli effetti e dell’incidenza che sull’ambiente hanno i vari programmi operativi comporta così la necessita di sottoporre ogni singola opzione, di sfere ad una diversa procedura decisionale.

Occorre pertanto mutare senza esitazione l’indirizzo politico-amministrativo, passando dal teorico controllo delle opere (le autorizzazioni conferite caso per caso oppure in base ad atti di pianificazione settoriali e spesso generici) ad un preventivo ed effettivo controllo delle politiche, tramite una seria programmazione ed un efficace coordinamento di tutti gli usi diretti ed indiretti del territorio e dell’ambiente nel suo complesso. Pertanto conferendo cosi' alla politica ambientale i connotati ed i contenuti di un’economia di scala a lungo termine.

Di conseguenza ogni attività o iniziativa economico-territoriale dovrà essere ritenuta conforme all’interesse pubblico e quindi ammissibile solo previa verifica della sua assoluta compatibilità ambientale, anche in ordine alla situazione dell’area in cui andrà ad incidere.

Vi è da notare che , in questa materia , la politica finora esercitata appare estremamente arretrata rispetto alle prescrizioni delle leggi vigenti ed ai principi affermati dalla magistratura comunitaria e nazionale.

Costantemente la Corte di Giustizia della Comunita' Europea , la Corte Costituzionale Italiana , la Cassazione , il Consiglio di Stato ed i giudici di merito hanno affermato il primato degli interessi ambientali su altri interessi anche economici.

L’art. 130/R dell’Atto Unico Europeo del 17 febbraio 1986, inoltre, ha sancito il principio, rivoluzionario per la prassi politica finora praticata in Italia, che “le esigenze connesse con la salvaguardia dell’ambiente costituiscono una componente delle altre politiche della Comunità”.

Quindi, se manca la componente della salvaguardia ambientale, nessuna iniziativa economica o territoriale può essere promossa o portata a termine.

Altro aspetto delle politiche ambientali , che e' opportuno sottolineare , riguarda i poteri che devono competere ai diversi livelli istituzionali che intervengono nel processo decisionale

Condizione prioritaria per conseguire una razionale ripartizione in merito è il riconoscimento dei diversi aspetti in cui si presentano nei vari ambiti territoriali le componenti secondo le quali si articola il comparto della tutela ambientale.

In linea di principio il "governo dell’ambiente" dovrà pertanto essere affidato all’istituzione che conoscendo e gestendo lo sviluppo socio-economico di un’area di fatto omogenea, possa valutare al meglio le iniziative che si intende intraprendere e le conseguenze che si verranno a determinare in termini ecologici.

La scommessa principale che occorre vincere prima di tutto è proprio quella di riconferire credibilità ad una classe di governanti cui non crede più nessuno, per motivi di incapacità, di promesse non mantenute, di commistione con interessi personali e di partito.

È logico quindi che si potrà parlare di ambiente e di relativi programmi di intervento solo allorquando la "comunità" in senso lato potrà disporre di un interlocutore politico ed amministrativo di cui abbia piena fiducia: un interlocutore che è fatica sprecata ricercare all’interno delle forze politiche cosiddette "tradizionali".

Capitolo 4

"Aspetti Istituzionali e legislativi per un governo dell'Ambiente"

I principi fondamentali che sono alla base della concezione di una corretta politica ambientale sono essenzialmente due: il principio di sussidiarietà ed il principio di autonomia. ll principio di sussidiarietà significa che la responsabilità decisionale è affidata al livello istituzionale più basso possibile compatibilmente con quanto si deve decidere nel rispetto dell’efficacia, dell’efficienza e della praticabilita' della decisione, dando comunque importanza agli strumenti di partecipazione popolare .

Il bilanciamento tra democrazia rappresentativa e democrazia diretta è di fondamentale rilevanza in particolare proprio riguardo le tematiche ambientali, nell’intento di effettuare una sorta di rispettivo potere di controllo nei confronti di ogni possibilità di degrado e di attacco ai valori naturali.

Il principio di autonomia non può che essere correlato alla modifica degli articoli 117 e 119 della Costituzione.

In riferimento al dettato dell’art. 117, appare evidente che debba essere riformulato al fine di prevedere una pluralità di funzioni che consenta tempestività ed appropriatezza delle norme a quelle che sono le necessità di intervento ambientale in un particolare ambito territoriale. Questo con problemi logicamente diversi rispetto ad altre aree dello Stato. Problemi la cui risoluzione è per forza di cose correlata alla possibilità di strumenti legislativi ad hoc emanati da quel livello istituzionale che più opportunamente può affrontarli, perché ne ha conoscenza diretta.

Contestuale a questa potestà legislativa delle Regioni è l’autonomia finanziaria delle stesse. L’art. 119 nega di fatto ogni manovra finanziaria autonoma, ogni possibilità di investire proprie e consistenti risorse per le azioni necessarie ad incidere su problemi particolari e contingenti. Nega ogni possibilità di agire sia per mettere in moto risorse economiche adeguate alle esigenze operative, sia per intervenire sul prelievo fiscale che consenta il recupero degli investimenti.

Il soggetto che investe le risorse deve essere così anche il soggetto che effettua il prelievo fiscale, ricomponendo la scissione fra entrate ed uscite. Le due leve devono essere nelle stesse mani se si vuole davvero intervenire con responsabilità sulle competenze decisionali della pubblica amministrazione.

In buona sintesi, occorre una nuova "responsabilità politica", legata alle esigenze ambientali di territori omogenei e che consenta di vincolare la facoltà normativa ad un’effettiva operatività che non può prescindere dal disporre autonomamente di sostanziali risorse economiche.

Passando all’aspetto più propriamente legislativo, deleterie e micidiali sono state le leggi centraliste improntate al principio dell’uniformità, dell’omogeneità e dell’indifferenziazione socio-ambientale tra diverse aree dello Stato. In particolare, fallimentare è stato il meccanismo delle cosiddette "leggi quadro", che hanno svuotato l’azione delle Regioni.

L’ambito di elaborazione delle leggi, dal momento che dovrebbe avvenire in un’area geografica limitata, in un tessuto storico-culturale concernente una sfera economica con le sue peculiari caratteristiche, fondandosi su una particolare situazione ambientale, dal momento che dovrebbe essere il frutto di legislatori nati e formatisi in un territorio e con una base di conoscenze regionali e locali sicuramente maggiore rispetto alle conoscenze che ha un parlamentare della situazione italiana, ha in sé una probabilità di adeguatezza di soluzione del problema.

In tal senso non si trascurino poi le opportunità di (ri)conseguire la vicinanza tra rappresentanti e rappresentati, nonché la possibilità di un maggiore controllo sui propri eletti.

Per concludere, per superare o mitigare il perverso meccanismo della gestione pubblica ,della società e dell’ambiente – che "tangentopoli" incama emblematicamente – si possono individuare le seguenti proposte:

– procedere rapidamente non solo alla semplificazione, alla razionalizzazione ed all’armonizzazione delle leggi operanti nei diversi settori specifici, ma anche alla preparazione di un testo unico di legge per l’ambiente;

– differenziare la potestà legislativa e normativa in ordine ad ambiti territoriali omogenei;

– attuare concretamente una netta separazione tra controllore e controllato, realizzando un moderno sistema di vigilanza e ispezione ambientale, in modo che non vi sia soluzione di continuità nella catena "analisi ambientale-controllo-sanzione";

– garantire la rapida ed efficace esecuzione degli atti amministrativi, attrezzando anche gli Enti Locali, oltre che il Parlamento, per svolgere questa importante funzione.

Capitolo 5

"Federalismo fiscale ed Economia Ecologica. Compatibilità tra mercato ed Ambiente"

Presupposto fondamentale per una "riforma fiscale ecologica" è l’instaurazione del "federalismo fiscale", unico meccanismo capace di riattivare la responsabilità nell’esercizio delle pubbliche funzioni e quindi il risanamento finanziario consensuale del paese, i cui principi essenziali sono: – il principio del beneficio, si paga avendone in cambio un pubblico servizio;

– il principio del sacrificio, si paga per aiutare chi davvero ne ha bisogno;

- il principio della responsabilità diretta, non solo elettorale, ma anche fiscale, di chi amministra la cosa pubblica a partire dal livello più vicino ai cittadini, quello municipale.

Lo stesso fallimento della politica di risanamento del bilancio attuata da Ciampi (va ricordato che il debito pubblico è cresciuto ancora arrivando al 120% del PIL), conferma che il rientro del debito non si può fare restando dentro questo sistema di governo, agendo in modo centralista sulla contabilità nazionale, magari affidando il compito agli stessi protagonisti del dissesto. Lo si può intraprendere solo se la periferia ridiventa "centrale" e la gente viene coinvolta in prima persona.

Un fisco decentrato e localizzato può rendere concreta l’idea che "pubblico" non è sinonimo di "gratuito", che i servizi collettivi costano e vanno pagati da chi li utilizza.

È solo operando un cambiamento federalista del sistema fiscale (e quindi politico) che può essere garantito il riequilibrio dei rapporti sociali del territorio e dell’ambiente.

Si tratta di trasformare la macchina burocratica dello Stato centrale per sostituirla con una struttura decentrata, flessibile, snella, su misura delle esigenze locali, ma in grado di realizzare la vera unificazione della nazione nel contesto europeo.

Il terreno del municipalisrno fiscale, avvicinando il pagamento delle tasse al loro utilizzo e, quindi, consentendo la verifica diretta dell’efficienza del denaro versato è, oltre tutto, quello più adatto per fare pagare consumi strettamente collettivi, spesso indivisibili, come il più delle volte sono quelli ambientali.

Il fisco centralizzato è, per così dire, allergico ai consumi collettivi indivisibili, che possono essere acquistati solo tramite l’ente locale e pagati con tasse e tariffe.

La "riforma fiscale ecologica" ha quindi, bisogno dell’humus culturale e politico costituito dalla "riforma fiscale federalista".

Senza federalismo fiscale non vi è alcuna possibilità di far passare una significativa valutazione delle risorse naturali con lo strumento della tassazione e di usufruire dei vantaggi economici per migliorare la qualità della vita.

La politica di rilancio dell’economia e del mercato non può prescindere da un uso strumentale delle imposte quale mezzo di stimolo per la produzione e l’occupazione. Il mercato non è, però, un’entità astratta e insensibile ai condizionamenti politici, anzi è un’istituzione elastica che nel nostro caso può reagire favorevolmente a interventi volti alla valutazione delle risorse naturali ed energetiche, condizione per una efficace tutela ambientale.

In Italia, purtroppo, il mercato è condizionato da una politica fiscale fortemente caratterizzata da un’elevata pressione volta a sostenere spese prevalentemente clientelari.

Gli adattamenti del mercato all’ambiente , da tempo non sono una novità e stanno diventando sempre più numerosi.

Nel 1972 I’OCSE sancì il principio "chi inquina paga" per indurre le imprese ad adottare tecnologie pulite. Oggi l’Unione Europea inizia ad introdurre la responsabilità del produttore coinvolgendolo fino alla fase finale del processo produttivo.

La riforma fiscale ecologica, già adottata dalla Svezia, è proposta dal "Piano Delors" e tutto ciò non viene visto come attentato al libero mercato, anzi, come sua razionalizzazione, perché è principio acquisito che l’economia interiorizzi il costo della tutela ambientale.



Capitolo 6

"Riforma Fiscale Ecologica "

Nell’ambito dell’Unione Europea è allo studio da alcuni anni l’adozione di strumenti economici fiscali per fare fronte ai diversi problemi ambientali: effetto serra e consumo di energia, distruzione della fascia di ozono, inquinamento delle acque e dell’aria, rifiuti del settore agricolo, emissioni sonore degli aerei, traffico stradale, rifiuti domestici e industriali. Jacques Delors ha recentemente proposto una riforma tributaria "verde" che cerca di prendere due piccioni con una fava: occupazione e ambiente.

Si tratta di ridurre imposte e contributi che aumentano il costo del lavoro (in Europa il 50% mentre negli USA e in Giappone sono al di sotto del 35%), sostituendoli parzialmente con prelievi (tra cui la cosiddetta "carbon tax") su prodotti o processi produttivi inquinanti, che incentivino quindi la riduzione delle emissioni dannose.

Certo, I’elemento essenziale della produttività non è il costo del lavoro, bensì la padronanza del progresso tecnico. Esiste , però, un problema riguardo il lavoro poco qualificato che costa troppo in relazione non ai salari, ma agli oneri supplementari che pesano sulle imprese.

La manovra proposta da Delors, di riduzione delle entrate provenienti dai contributi sociali parzialmente compensata dalla tassazione dei cicli produttivi, oltre ad altri vantaggi, dovrebbe portare ad un aumento di 650.000 occupati per la dinamica che spiegheremo in seguito , quando , parleremo della proposta dei Giovani Industriali Tedeschi.

L’obiettivo non è di suddividere tra più gente il lavoro che esiste, ma , di crearne del nuovo per soddisfare i bisogni sociali ed ambientali disattesi.

Passando alla situazione di casa nostra, il Ministro dell’Ambiente ha elaborato delle proposte per introdurre "misure di incentivazione per la riqualificazione produttiva ed il risanamento ambientale".

Francamente, sembra che , non si voglia capire la differenza tra le ecotasse e le tasse e basta ed in diverse occasioni il "Tavolo dei Dieci", con le principali organizzazioni di categoria del mondo produttivo, ha dovuto rilevarlo criticamente.

Nelle prime, i prelievi devono essere commisurati alla quantità e alla qualità degli scarichi inquinanti, così da introdurre un incentivo a ridurre questi effluenti per evitare la tassazione.

In secondo luogo, la destinazione del loro gettito , dovrebbe essere destinata al recupero e al ripristino dell’ambiente.

Tale sistema, infine, deve rispondere al principio della neutralità fiscale, per cui ciò che si carica sull’ambiente deve essere scaricato da altri settori, in modo che resti immutata la pressione complessiva.

Le ecotasse, proposte prima da Ruffolo poi da Spini, prestano, perciò, il fianco alle obiezioni avanzate dal mondo produttivo, in quanto si risolverebbero in un fattore di riduzione della competitività dell’industria nazionale.

La riforma fiscale ecologica che proponiamo sarà invece agganciata all’evoluzione del quadro europeo ed internazionale e risponderà alle tre condizioni sopra elencate, oltre alla quarta dell’imposizione decentralizata e localizzata.

Una tassazione ambientale correttamente impostata potrà fornire i seguenti vantaggi:

– ridurre le diseconomie esterne provocate dalle differenti localizzazioni delle fonti inquinanti e ristabilire la "verità" dei prezzi per le risorse naturali;

– aumentare l’efficienza economica inglobando i costi estemi nella produzione (cioè "intemalizzando" i costi estemi, per usare il gergo degli economisti) e migliorando l’allocazione delle risorse;

– incentivare la scelta, da parte degli operatori economici, di tecnologie innovative che annullino o riducano l’impatto di processi e prodotti inquinanti;

– fare chiarezza sul costo effettivo del danno ecologico provocato dalle attività economiche al fine di sensibilizzare produttori e consumatori per un maggior rispetto dell’ambiente

Gli Ambientalisti Federalisti fanno proprio lo slogan lanciato tempo fa dai Giovani Imprenditoritori Tedeschi e che dovra essere uno dei capisaldi della prossima legislatura: "più tasse ambientali , meno tasse sui guadagni e sui redditi ".

L’idea in fondo, è quella che ha ripreso Delors per "vendere" I’imposta energia/carbonio, volta ad aumentare l’efficienza energetica e a ridurre l’effetto serra.

Il sistema fiscale e contributivo attuale obbliga a sostituire le macchine alla forza lavoro e, ineluttabilmente, ciò conduce a un risultato paradossale: sempre meno occupati devono finanziare un numero sempre maggiore di disoccupati, il che significa che le tasse e i contributi devono aumentare sempre di più finché il sistema non arriverà al collasso.

Una riforma fiscale ecologica contribuirebbe a fornire soluzioni durature per lo sviluppo economico e la stabilità sociale. Si potrebbero immettere sul mercato prodotti che durano di più e che è più facile riparare.

Sarebbe possibile creare concezioni nuove per la soddisfazione dei bisogni. Diminuirebbe il consumo di energia e così anche i rischi per il clima mondiale.

Questa riforma, infine, creerebbe più posti di lavoro mediante la seguente dinamica: lo Stato riduce i contributi previdenziali trasferendoli ai consumi energetici così il lavoro costa di meno e l’energia di più; i costi così modificati indurrebbero gli imprenditori a richiedere più lavoro a buon mercato e meno energia costosa. Ciò significherebbe più occupazione e più tutela ambientale, senza costi aggiuntivi per l’economia.

Deve essere ben chiaro che le "ecotasse", nelle varie modalità in cui saranno applicate, non devono rappresentare tassazioni aggiuntive alle varie imposte esistenti e non devono essere utilizzate per soddisfare la crescente voracità dello Stato per soddisfare bisogni clientelari dei partiti.

L’istituzione e la riscossione delle medesime, inoltre, deve avvenire nel modo più decentrato possibile, nel senso che saranno quanto meno le Regioni a stabilirne il tipo e la misura, ovviamente sulla base di direttive emanate dall’U.E. per l’efficacia dei provvedimenti e l’omogeneità concorrenziale.

L’impiego delle risorse, infine, dovra essere finalizzato quanto più possibile al recupero del territorio e dell’ambiente e a creare negli operatori economici quella cultura ecologica che non deve tradursi in ottusa opposizione al progresso tecnologico, ma in un uso cosciente dei beni disponibili sul nostro pianeta per migliorare la qualità della vita nostra e di chi ci sta vicino.




Capitolo 7

"Gestione dei servizi ambientali, competizione privato pubblico  "

Non vi è alcun dubbio che lo standard del livello di qualità dei servizi pubblici di interesse ambientale è mediamente più basso rispetto a quello degli altri paesi industriali membri dell’Unione Europea. L’insufficiente livello di qualità e di efficienza di tali servizi ha determinato finora una crescente insoddisfazione dei cittadini ed ha imposto limitazioni allo sviluppo economico e sociale del nostro paese.

Da anni, autorevoli studiosi ed amministratori , si interrogano sul "come" rendere più efficienti i servizi pubblici.

Tutti sono ormai d’accordo sul fatto che, dopo anni di diffuso populismo, bisogna diffondere sempre più nei cittadini la consapevoleza che i servizi pubblici costano.

Ci si e ormai resi conto, inoltre, che va sostenuta e rafforzata la cultura della concorrenza, che bisogna cioè attivare tutti i possibili stimoli della libera e corretta competizione di mercato anche nel campo della gestione dei servizi di utilità pubblica. L’attuazione della cultura della concorrenza postula il ricorso al mercato e, dunque, alle imprese.

Si vanno diffondendo, infatti, affermazioni secondo le quali l’utente del servizio pubblico va considerato e trattato come un cliente di un’ impresa.

I servizi, insomma, vanno gestiti rispettando le leggi dell’economia aziendale e di funzionamento del mercato. Solo in questo modo si potrà arrivare a fornire un servizio che rispetti le esigenze e i tempi di una società moderna e di un sistema produttivo europeo.

In questo contesto culturale si pone il problema di valutare quali siano le forme di gestione più adatte a garantire efficienza, efficacia ed economicità ai servizi di pubblica utilità.

Noi riteniamo il ricorso alle imprese private , cioè allo strumento conosciuto più in generale col termine di "privatizzazione dei servizi".

La privatizzazione dei servizi si ottiene , praticamente , o cedendo le attività pubbliche ai privati , oppure dando in concessione la gestione del servizio o , infine, provvedendo alla gestione diretta con strumenti di tipo privatistico, il che è possibile dando vita alle società per azioni.

La spinta al processo di privatizzazione degli enti e dei servizi pubblici proviene anche dall’Unione Europea, per assicurare una più diffusa concorrenza delle imprese nei diversi Stati membri.

Lo strumento della privatizzazione è oggi utilizato anche per consentire la costruzione e la gestione di infrastrutture ecologiche.

Si sta infatti passando , da una concezione di tipo "fiscale", in cui la realizzazione delle infrastrutture è finanziata con le entrate tributarie , ad una concezione di tipo "contrattuale" , nella quale il costo di realizzazione e gestione delle opere sia sostenuto dagli utenti con il pagamento di tariffe commisurate all’intensità di utilizzo delle infrastrutture.

L’intervento delle imprese private per la costruzione e gestione delle infrastrutture ecologiche presuppone un regime tariffario in grado di assicurare la remunerazione del capitale investito.

Questo tipo di intervento ha trovato finalmente riconoscimenti anche sul piano normativo. In particolare e' da ricordare l’art. 12 della legge 498/92, che determina le tariffe per i servizi di acquedotto, fognatura e depurazione sulla base di criteri che comprendono la remunerazione del capitale investito.

Tale innovazione è stata recepita dal Piano triennale per l’ambiente 1993-95, al fine di determinare un effetto moltiplicatore delle risorse disponibili e consentire l’utilizo delle risorse statali per operazioni di cofinanziamento, assieme ad altre risorse.

In conclusione, esistono oggi sul piano concettuale e legislativo le condizioni e le premesse per un nuovo rapporto tra pubblico e privato ed è possibile, pur nelle difficoltà oggettive della situazione economica, che la diminuzione delle risorse pubbliche nel settore ambientale venga controbilanciata da un consistente apporto di capitale e di management da parte delle imprese private.

È, quindi, possibile sviluppare in Italia, come già in altri paesi, la tecnica dei finanziamenti di progetto o Project Financing, considerata ormai unanimemente come la più convincente soluzione per consentire l’intervento del capitale privato nella realizzazione di opere pubbliche, rompendo così il paralizzante e spesso insufficiente monopolio che, in diverse realtà territoriali, è imposto dalle gestioni pubbliche in forma più o meno diretta.

Infatti , l’accorpamento dei singoli segmenti dei servizi in uno più ampio , comporta la gestione integrata in ambiti territoriali omogenei e, pertanto, la drastica riduzione delle gestioni in economia.


Capitolo 8

"Salvaguardia delle acque "

a salvaguardia della quantità e della qualità dell’acqua costituisce un fattore di sviluppo economico, oltre che di mantenimento di livelli accettabili di qualità della vita. Gli interventi sul ciclo dell’acqua, sia nella fase del prelievo che in quella del rilascio , coinvolgono aspetti economici, tecnici, gestionali, di programmazione per un uso razionale della risorsa e per impedire l’inquinamento delle falde.

Lo stato delle falde idriche sotterranee assume, nel bacino Padano, dimensioni di alto rischio ambientale (con pochi esempi similari a livello internazionale), determinato dalle attività industriali e agricole che rappresentano, in termini economici, circa 600.000 miliardi del PIL nazionale con un rapporto per abitante secondo soltanto a quello giapponese.

Gli aspetti gestionali sono viceversa "frantumati" in oltre 11.000 gestioni creando un tale stato di inefficienza da determinare la perdita di circa 2 miliardi di metri cubi di risorse idriche a livello nazionale con un danno economico quantificabile in circa 2.000 miliardi di lire.

Altri dati sono da citare per evidenziare la situazione:

– acquedotti: oltre 1.200.000 abitanti non sono serviti da servizi di acquedotti;

– fognature: il 3% della popolazione risiede in Comuni sprovvisti della rete fognaria;

– depurazione: solo il 20% della popolazione è servita da impianti di depurazione, inoltre il 50% dei circa 6.000 depuratori non sono funzionanti;

– servizi idrici: circa 9 milioni di famiglie, pari a circa il 50% delle utenze civili, non hanno dotazione soddisfacente di acqua in termini di quantità e qualità.

La legge n. 36 del 1994 contiene potenzialità di risposta alle esigenze della gestione integrata del ciclo dell’acqua.

In particolare si rende necessario:

– realizare il servizio idrico integrato, che coinvolge gli aspetti dalla captazione alla distribuzione, in ambiti territoriali ottimali;

– adottare strumenti economici intesi come corrispettivi del servizio reso e non come imposizione fiscale (addizionale sul consumo per reperire risorse finalizzate al risparmio e al riciclo dell’acqua).

Anche in questo settore, la competenza del livello centrale dello Stato dovrà unicamente riguardare l’emanazione di norme di principio allo scopo di uniformare e coordinare l’iniziativa Regionale o Interregionale, che avra' la diretta competenza , sia in tema di legislazione di merito che di capacità pianificatoria e gestionale.

Le regioni dovranno disporre direttamente delle risorse finanziarie da destinare all’adeguamento di impianti e strutture riguardanti il ciclo dell’acqua di concerto con gli Enti Locali . Dovranno altresì prescrivere ed effettuare interventi di salvaguardia e razionalizzazione delle acque sotterranee, vietando l’utilizzo di quelle profonde per usi produttivi, e, nel contempo, tutelare ambiti particolarmente importanti ai fini idrogeologici.

In tal senso, e per motivi di programmi economici a lungo termine, assumerà carattere prioritario separare impianti e condutture per l’approvvigionamento e la distribuzione dell’acqua potabile da quelli riguardanti le risorse idriche non aventi tali requisiti qualitativi, da destinare agli usi produttivi.

Sulla stessa linea, le acque di scarico dovranno necessariamente essere scisse tra quelle passibili di semplice riutilizzo e quelle invece da sottoporre a preventiva e complessa depurazione prima del rilascio nei corpi idrici di ricezione finale.

Oltre a questo va perseguita una politica incentrata sui seguenti punti:

– la riforma radicale della legge Merli (la n. 319 del 1976), in quanto prodotto di un vecchio approccio puramente difensivo, tra l’altro aggirabile con la semplice diluizione degli scarichi;

– I’emanazione di norme tecniche sulla potabilizzazione delle acque;

– la regimazione delle acque fluviali, in modo da salvaguardare le capacità di autodepurazione naturale;

– una nuova normativa sulla balneazione in rapporto alla valorizzazione delle zone turistiche.


Capitolo 9

"Tutela qualità dell'aria e inquinamento acustico "

In buona parte, gli strumenti di contenimento dell’inquinamento atmosferico coincidono con quelli destinati alla razionalizzazione della produzione energetica. Gli obiettivi generali e gli strumenti per il risanamento della qualità dell’aria sono quelli indicati dalla Comunità Europea. Devono essere incentivati la cogenerazione e il teleriscaldamento.

Deve essere promossa l’applicazione di sistemi di combustione per impianti domestici ed industriali meno inquinanti, che ,devono essere introdotti nell’uso comune con una politica di incentivo, sia sull’acquisto che fiscale. Contemporaneamente, devono essere disincentivati gli impianti obsolescenti.

In analogia, deve essere facilitato fiscalmente , l’uso di combustibili meno inquinanti, mantenendo l’equilibrio fiscale e appesantendo corrispondentemente i combustibili più inquinanti.

Parte del carico fiscale sui combustibili, che , non deve essere assolutamente aumentato nel suo complesso, deve essere ridistribuito e destinato alle amministrazioni locali e regionali della zona dove esso viene venduto, allo scopo di finanziare le iniziative locali di risanamento atmosferico.

Il riequilibrio del carico fiscale sui combustibili destinati al riscaldamento residenziale dovrà avvenire agendo sullo strumento dell’addizionale.

Il riequilibrio del carico fiscale sui combustibili utilizzati nel settore industriale dovrà essere ottenuto riducendo corrispondentemente gli oneri sociali.

Il problema dell’inquinamento urbano è, inoltre, legato, in buona misura, al traffico autoveicolare, la cui soluzione prevede interventi radicali sulla pianificazione territoriale, sul trasporto pubblico urbano e interurbano, sulla politica dei parcheggi e dell’accesso ai centri urbani , sulla qualità degli scarichi , che , dipende sia dai carburanti che dalla tipologia delle motorizzazioni.

Di particolare interesse è l’ipotesi della trazione elettrica per autoveicoli destinati all’uso urbano e suburbano, che integra in modo ideale le politiche dei flussi del traffico e degli accessi sopra richiamate.

Deve essere, comunque, stimolata la produzione e l’uso di motorizazioni , che, pur basate sul principio della combustione, ottimizzino l’aspetto dei consumi e delle emissioni.

Esistono, naturalmente, altri agenti inquinanti che non sono legati a processi di combustione, bensì a cicli ed attivita' procduttive. Anche in questo settore, la necessaria attività normativa, deve mirare alla protezione dell’ambiente e qualità della vita, tenendo conto delle esigenze occupazionali e produttive. Occorrerà agire non solo sugli strumenti sanzionatori, ma anche sugli incentivi , sia fiscali , che , sugli investimenti e garantendo, tramite lo stesso meccanismo, la protezione della aziende che hanno convertito l’attività in termini di maggiore tutela ambientale rispetto alla concorrenza che non si e' adeguata.

Un altro aspetto , per l’esposizione delle persone a fattori nocivi presenti nell’atmosfera , consiste nella qualità dell’aria all’interno degli edifici, che , spesso risulta affetta, oltre che dagli stessi inquinanti presenti all’esterno, anche da inquinanti e sostanze tossiche che si sprigionano dall’interno dell’edificio stesso. Appare necessario , che , quest’importante aspetto , sia considerato e siano prese iniziative normative che riguardino sia i materiali adottati nelle costruzioni che i prodotti di impiego domestico, oltre che alcuni elementi di progettazione.

Deve essere promosso il miglioramento dei servizi telematici per l’accesso a servizi ed a funzioni lavorative: ciò permette, infatti, la riduzione della necessità di spostamento fisico delle persone con tutti i vantaggi che ne derivano.

Come già esemplificato, le iniziative sopra delineate possono essere realizzate promuovendo il principio della neutralità fiscale (il carico fiscale non viene ulteriormente aumentato con nuove tasse) e promuovendo le tasse di scopo (il cui gettito sarà destinato a specifici scopi di protezione dell’ambiente), di entità proporzionalmente decrescente in relazione al conseguimento di obiettivi di contenimento delle emissioni e di risparmio energetico.

Considerata la peculiarità locale dei problemi e delle tematiche dell’inquinamento, al centro delle iniziative indicate , devono essere poste le autorità regionali e locali. Le stesse devono acquisire maggiore potere, autorità ed efficacia su temi proposti e devono essere poste nelle condizioni di gestire il gettito delle tasse di scopo legate ai problemi ambientali richiamati.

Dal punto di vista legislativo, occorre agire sulle norme tecniche per la qualità della combustione e sui limiti di emissione degli impianti, nonché sulla concentrazione relativa dei diversi elementi inquinanti nell’ambiente.

Per quanto concerne il rumore, numerosi aspetti legati all’inquinamento acustico urbano sono correlati all’inquinamento atmosferico, come nel caso del traffico autoveicolare: i piani di risanamento di carattere generale debbono essere stesi nel rispetto contemporaneo delle esigenze dei due settori.

Anche in questo settore deve essere operata una revisione e razionalizzazione delle norme di legge, che attualmente sono incomplete, frammentate e parzialmente inefficaci.

Anche su questi argomenti è basilare arrivare alla definizione del Testo Unico delle leggi per la protezione dell’ambiente ed alla ristrutturazione, sulla base di omogeneità tematiche , dei servizi di vigilanza e prevenzione.

È, infine, necessario creare uno strumento di verifica del grado di applicazione delle leggi del settore, per controllare e garantire che i piani di risanamento, che hanno necessariamente tempi medio-lunghi, non siano ulteriormente frenati e rallentati.

Capitolo 10

"Smaltimento Rifiuti "

Obiettivo strategico di una politica ecologica è , quello , di ridunre quanto più possibile la produzione di rifiuti e, quindi, gli impianti di smaltimento. Ciò implica la riorganizzazione del nostro rapporto con i rifiuti, attraverso il riciclaggio e le modalità di produzione di base, così da ricondurre anche la vita dei prodotti ad un ciclo che comprenda una forma di riutilizzo, invece che soltanto di abbandono. La logica di approccio al problema va cambiata radicalmente:

il rifiuto deve essere trasformato da scarto a risorsa, riusabile e riciclabile in processi produttivi di beni e di energia, secondo un principio che trova una convalida a livello comunitario.

La politica futura di gestione dei rifiuti, pertanto, si dovrà basare sulle seguenti linee direttive: .

– sul versante legislativo è necessario un coordinamento delle norme (Testo Unico) ed una semplificazione delle procedure;

– occorre predisporre una rete integrata di impianti di smaltimento, prevedendo l’autosufficienza a livello provinciale per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani e a livello regionale per quelli tossico-nocivi;

– occorre stabilire la responsabilità congiunta dei produttori, degli importatori e dei distributori del flusso dei rifiuti che provengono dall’uso dei beni durevoli e di imballaggio;

– bisogna operare la revisione strutturale dei criteri di pianificazione delle aree dove adibire gli impianti di smaltimento, cominciando con l’individuazione delle "aree non idonee";

– è necessario gestire i servizi pubblici per lo smaltimento dei rifiuti in modo più organico e con criteri di managerialità, ricorrendo allo strumento di impresa. Al fine di garantire ai cittadini un servizio economico ed efficiente, gli enti di gestione (pubblici e privati) dovranno avere dimensioni territoriali ottimali;

– occorre privilegiare impianti di termodistruzione con recupero di energia, da utilizare per il teleriscaldamento o come produzione di energia elettrica, rispetto al tradizionale sistema basato sulle discariche. Vanno, altresì fissate ,norme severe di controllo delle emissioni prodotte dagli inceneritori e dei residui derivanti dalla combustione posti in discarica (nel caso di impossibilità di riutilizo);

– è necessario attuare la raccolta differenziata, tenendo in considerazione l’effettivo riutilizzo dei materiali, orientandola anche verso i grossi produttori di rifiuti.

Tutte le decisioni dovranno essere attentamente valutate nel rapporto costi/benefici tanto economici quanto ambientali.

 

Capitolo 11

"Attività estrattiva "

Visti i danni causati al territorio da una prolungata mancanza di pianificazione delle attività estrattive, l’obiettivo principale degli Ambientalisti e Federalisti consiste nel portare a compimento l’iter d’approvazione della legge quadro in materia di cave e torbiere, presentando una proposta di legge basata sui seguenti principi: – ripristino dopo l’uso: l’estrattore di materiali e inerti deve essere poi tenuto al recupero dell’area (può essere utilizzato il compostaggio fertile per il rinverdimento), con le opportune garanzie. Al momento del rilascio della concessione gli deve essere riconosciuta un’idonea garanzia economica come onere connesso all’esercizio dell’attività (costo economico d’impresa);

– procedure semplificate, pur nella salvaguardia della professionalità (Albo regionale degli escavatori);

– pianificazione regionale e disciplina amministrativa da parte dei Comuni tramite concessione.

La legge quadro dovrebbe servire a determinare, in una materia che il D.P.R. 616 del 1977 ha demandato alle Regioni, pari condizioni sulle modalità di coltivazione e recupero dei giacimenti, nonché uniformità per quanto concerne la concessione di tali attività e la commercializzazione dei materiali estratti.

Dovranno, inoltre, convenientemente trasferirsi ai livelli regionali e comunali i poteri ancora oggi di pertinenza dello Stato centrale, relativi alla politica mineraria (tuttora definita dalla legge n. 752 del 6 ottobre 1982) ed alla escavazione negli alvei dei corpi idrici.

In tal modo queste competenze si rapporteranno ad una più globale programmazione e gestione da parte dei livelli istituzionali direttamente interessati, sia ai fini di una razionale visione complessiva delle correlazioni commerciali che nell’ottica di una più attenta valutazione ambientale di ciò che comportano tali attività produttive.

Capitolo 12

"Valutazione di Impatto Ambientale "

 

Il nostro ordinamento ha recepito solo parzialmente la direttiva comunitaria n. 85/337, che istituisce la procedura di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.). Tale procedura considera l’ambiente come un complesso di relazioni in cui gli interventi hanno effetti sulla globalità del sistema e sui suoi singoli componenti. La V.I.A. deve rappresentare lo strumento dell’"approccio integrato", da realizzare a livello regionale. Tale strumento , consiste nell’esame, fin dalla fase della progettazione, di tutti gli aspetti ambientali e dei rischi connessi alla realizazione di un’opera.

Ciò presuppone l’unificazione e l’integrazione dei relativi procedimenti amministrativi ed autorizzativi, secondo il principio "unica valutazione per un’unica autorizzazione", enunciato nella legge nazionale "Comunitaria 1993", che contiene i criteri per il recepimento anche di questa direttiva comunitaria.

Un’importante occasione per la possibilità di inveramento di nuove impostazioni urbanistiche è la proposta di direttiva, in discussione in sede comunitaria, che estende la V.I.A. alle previsioni contenute negli strumenti di pianificazione. Cio' , consentirà , di dare rilievo alla considerazione degli aspetti ambientali fin dalla fase di redazione dei programmi di settore o territoriali.

Gli Ambientalisti Federalisti intendono battersi perché trovi piena e completa attuazione la normativa europea sulla V.I.A., allargandone l’area di competenza a vaste categorie di opere tuttora esenti, nonché alla fase della pianificazione territoriale . Questo , stabilendo , sempre più diffuse modalità di informazione e partecipazione del pubblico.

Deve essere previsto il sistematico ricorso all’inchiesta pubblica per raccogliere le osservazioni dei cittadini su ogni progetto.

Le attività industriali a rischio di incidente rilevante sono individuate e sottoposte a procedure di sicureza ai sensi del D.P.R. n. 175 del 17 maggio 1988, che ha recepito la direttiva comunitaria n. 82/501 (la "direttiva Seveso").

La logica dell’"approccio integrato" dovrebbe guidare anche la revisione in atto della normativa sui rischi industriali ed il recepimento delle disposizioni comunitarie che affrontano questo tema, in relazione alla quantità e qualità delle sostanze pericolose che vengono utilizate nei processi industriali.

Capitolo 13

"Protezione Ambientale nel settore Energetico "

 

Singolarmente, le esigenze ambientali e di risparmio energetico e le esigenze imprenditoriali coincidono, considerati i legami esistenti tra questi argomenti. Lo stimolo verso l’autoproduzione di energia elettrica, se incentivata in modo proporzionale al rendimento energetico dei sistemi utilizzati ed al contenimento delle emissioni, ha impatti positivi sia sul bilancio delle aziende sia sullo stato dell’ambiente. Crea occupazione nell’industria energetica che opera sugli impianti di piccola e media taglia, riduce la dipendenza energetica dall’estero e riduce la dipendenza dalle elefantiache strutture statali che hanno controllato la situazione al di fuori di ogni logica di mercato ed al di fuori di qualsiasi esigenza ambientale locale.

L’acquisto di energia dai piccoli produttori da parte dell’ENEL deve avvenire a tariffe migliori ed incentivanti, specie quando la produzione avvenga tramite lo sfruttamento di tecnologie , legate alla protezione ambientale (recupero di energia dai rifiuti, produzione di biogas, ecc.).

Gli impianti di grande dimensione , devono essere progettati o rinnovati secondo principi di risparmio energetico, di riutilizo del calore a bassa temperatura, di cogenerazione, di teleriscaldamento, con un beneficio netto immediato per i residenti delle aree limitrofe agli impianti, sia dal punto di vista economico (minor spese di riscaldamento ed altro) e ambientale (eliminate le emissioni inquinanti locali).

Devono essere rimossi vincoli, pastoie normative ed autorizzative per lo sfruttamento dell’energia idroelettrica con impianti di piccola e media taglia da parte dei privati , nel rispetto di deflussi che garantiscano l’ecosistema dei singoli fiumi e torrenti e dei complessivi bacini idrici. Devono anzi essere incentivati per il recupero di situazioni abbandonate e per la creazione di nuove risorse. Il solo recupero di risorse esistenti e rinnovabili equivale alla costruzione di alcuni impianti termici di grossa taglia ed ha un costo minore, anche dal punto di vista ambientale.

Le specificità e le potenzialità regionali e locali devono essere rispettivamente garantite e potenziate al massimo, anche in questo settore, che in passato si è appoggiato esclusivamente su di una programmazione accentrata, scarsamente riguardosa delle risorse e dei problemi locali, sia dal punto di vista energetico che ambientale.

Il tema dell’energia nucleare deve essere nuovamente affrontato con coscienza e cautela, e senza demagogia, nella prospettiva delle nuove generazioni di reattori ad alto coefficiente di sicurezza.

In tal senso, dovranno valutarsi razionalmente gli effettivi fabbisogni energetici a mediolungo termine, sulla scorta delle potenzialità degli impianti esistenti per la produzione di energia elettrica, delle risorse naturali cui si può attingere, nonché delle modificazioni in atto nei diversi comparti produttivi.

 

Capitolo 13

"Informazione, partecipazione ed educazione ambientale "

I diritti di informazione, controllo, e partecipazione in materia ambientale sono quasi del tutto disattesi dalla normativa vigente per il semplice motivo che ad essi non corrispondono dei precisi doveri da parte della pubblica amministrazione. Mancano gli strumenti per controllarne l’applicazione e per sanzionare i funzionari inadempienti. Si continuano a sfornare "Carte dei diritti" , ma il vero problema e' di fissare una "Tavola dei doveri" per la burocrazia, riorganizzandola secondo due principi:

– la responsabilita dei funzionari;

– il controllo democratico degli utenti.

L’ attuazione congiunta di questi due principi contribuisce a dare corpo all’ obiettivo di introdurre dinamiche di mercato nel settore pubblico. Alcune leggi appena varate vanno nella direzione di migliorare il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione : la legge 537/93 che prevede un riordino dei Ministeri e del loro modo di lavorare; la legge che recepisce il regolamento comunitario sull’ ecolabel – o etichettatura ecologica, importante per l’ informazione ai consumatori; la legge che recepisce l ’Ecoaudit comunitario – o certificazione ambientale; la legge che istituisce il cosiddetto "740 ecologico", cioè il modello unico di dichiarazione ambientale ed il controllo sulle dichiarazioni stesse.

Di fatto , che la normativa generale sulla trasparenza amministrativa (L. 241/90) , sia rimasta lettera morta è noto. Anche la legge n. 349 del 8 luglio 1986, istitutiva del Ministero dell’ Ambiente, riconosce al cittadino il diritto di accesso alle informazioni disponibiii sullo stato dell’ ambiente , ma non si è andati più in là delle dichiarazioni di principio. Restano disattesi i principi comunitari sull’ intervento nel procedimento amministrativo previsti nella procedura di valutazione di impatto ambientale (Direttiva C.E.E. 85/377), conseguendo così , anche sotto questo aspetto, una condizione di ritardo rispetto all’ ambito europeo. Tale direttiva, viene recepita a spizzichi e bocconi. La "Comunitaria '93", approvata il 10 febbraio 1994, ne ha recepito un altro pezzo delegando il governo a definire i criteri per la V.I.A. riguardanti i progetti inclusi nel l' allegato (piccole opere).

Nella scorsa legislatura si era avviata la discussione sulla legge quadro in materia, normativa che, mediante la procedura in oggetto, dovrebbe assicurare ai cittadini la possibilità di conoscere i progetti che riguardano il territorio in cui vivono e gli studi di impatto predisposti per analizzare gli effetti sull’ambiente.

Occorrerà, operativamente, determinare norme regolamentari che diano le più ampie garanzie che nessuna illegalità possa essere compiuta all’ insaputa di tutti e magari col tacito assenso delle autorità. In tal senso, funzione primaria , spetterà alle amministrazioni comunali, valutando eventualmente il coinvolgimento ed il ruolo del Difensore Civico, figura prevista dalla recente L. 142/90.
La democrazia federalista, per sostenersi su una base di controlli dal basso, oltre a garantire l’informazione ambientale, deve riconoscere alle associazioni dei cittadini il diritto di intervenire nelle procedure amministrative e giudiziarie, utilizzare in alcuni casi l’istituto del referendum, dare impulso a sistematiche iniziative di informazione ecologica dell’opinione pubblica; promuovere un impegno mirato di tutte le istituzioni statali attorno alle problematiche della tutela ambientale.

Particolare cura dovrà esser posta allo sviluppo di una approfondita educazione , alla conservazione della natura, intesa , come primo aspetto della più vasta educazione ambientale, in modo tale che queste entrino sia nel curricolo disciplinare che nelle trasversalità formative delle scuole di ogni ordine e grado, siano esse pubbliche che private, ponendosi quindi come cardine della formazione etica del futuro cittadino.

Per questo la Scuola dovrà recuperare la piena centralità e la piena responsabilità che le competono, uscendo dalla delega, di fatto , concessa in questo decennio, a soggetti esterni e spesso di parte.

A tal fine occorrerà rivedere le competenze attualmente attribuite al Ministero dell’Ambiente, devolvendole integralmente, anche dal punto di vista finanziario, al Ministero della Pubblica Istruzione che, tramite l’istituto delle conferenze di servizio e delle intese, dovrà coinvolgere, per gli specifici contributi di tipo tecnico organizzativo, il Ministero dell’Ambiente e tutti gli altri Ministeri interessati, le Amministrazioni territoriali, le associazione scientifiche e le associazioni ambientaliste.

Dovrà quindi cessare l’attuale situazione di spreco, duplicazione, mancanza di coordinamento, che ha finito per nullificare, o , rendere estremamente difficile, l’ azione educativa di cui trattasi lasciandola per lo più al libero campo di intervento, con denaro pubblico, ad alcune Associazioni ambientaliste monopolizzanti ed ideologicamente orientate a senso unico.

Da questo punto di vista è forte l’esigenza di:

– sottoporre ad accurata verifica tutte le spese effettuate nel settore dal Ministero dell’Ambiente ed i finanziamenti elargiti;

– rivedere la legislazione relativa al riconoscimento delle associazioni che, in uno stato liberaldemocratico, non possono operare per fini di parte con denaro pubblico in una situazione che ne privilegia alcune e ne esclude altre.

La questione, ove necessario , dovrà esser affrontata anche con opportuni interventi legislativi.

  Capitolo 14

"Organizzazione Amministrativa "

Esecuzione e controllo degli atti L’ esigenza fondamentale è quella di conseguire l ’effettiva protezione dell’interesse generale, fino ad una corretta gestione del territorio ed alla tutela dell’ambiente.

Finora l’ intervento dello Stato si è configurato, in teoria, nell’ ottica di concorrere insieme alle Regioni alla risoluzione dei vari problemi di ordine ecologico. Nella pratica si e', però , assistito ad una sostanziale "confusione" dei soggetti istituzionali che intervengono in materia, con una sovrapposizione di competenze che, di fatto, ha negato ogni responsabilità decisionale.

Richiamando le considerazioni esposte nei paragrafi precedenti , è, pertanto, necessità imprescindibile determinare e delineare in modo inequivocabile i poteri dei vari livelli istituzionali:

– livello centrale dello Stato Federale, sulla scorta delle direttive comunitarie e degli accordi internazionali in materia ambientale;

– livello intermedio interregionale, distinto per zone omogenee di condizioni complessive di sviluppo socio-economico, con compiti legislativi di merito e programmatori nell’ambito di specifica pertinenza;

– livello locale regionale, con competenze normative e pianificatorie particolari, nonché con attribuzioni di carattere amministrativo generali;

– livello locale provinciale e comunale, con funzioni di proposta programmatoria e di amministrazione diretta degli interventi pubblici.

In questo quadro assume carattere rilevante la questione del controllo sulle iniziative realizzate da soggetti pubblici e, specificatamente, privati, nonché sui conseguenti interventi sanzionatori, considerando che la mancanza di tali funzioni, come ora di fatto avviene, comporta inevitabilmente il disattendere anche i propositi già presenti nella normativa vigente . Il tutto accade vista la confusione delle competenze in merito e l’oggettiva impreparazione e carenza strutturale dei soggetti che intervengono al riguardo.

Occorrerà, pertanto, costituire a livello regionale, un’agenzia specializata ad eseguire tutti i lavori necessari al ripristino della legalità ambientale a spese del contravventore, operante in diretta collaborazione con i settori specifici dell’Arma dei Carabinieri.

Nel contempo, Province e Comuni, avranno il compito locale della vigilanza, potendosi impiegare a tale scopo anche le Guardie Ecologiche Volontarie e le Guardie Forestali, opportunamente preparate, sia dal punto di vista conoscitivo che operativo, tramite adeguati corsi di formazione settoriali.

Si eviterà così , che , gli atti delle amministrazioni e le sentenze dei Giudici rimangano ineseguiti, come accade di norma attualmente, o perché le Autorità non curano l’esecuzione dei loro ordini o perche' non trovano imprese disposte a svolgere le necessarie attività materiali.

La mancata esecuzione degli atti che dispongono il ripristino della legalità ambientale non costituisce soltanto un danno con riferimento a situazioni specifiche, ma , costituisce anche , un poderoso incentivo per gli altri cittadini ad eseguire ulteriori violazioni sperando, fondatamente, nell’impunità. Un danno ambientale non eliminato in un luogo favorisce così la produzione di altri danni in altri luoghi.

In tema di risarcimento dei danni ambientali, dovrà, comunque, prevedersi una più ampia depenalizzazione dei reati, introducendo nel contempo un sostanziale inasprimento delle sanzioni amministrative, la cui entità dovra essere tale da rendere "antieconomica" l’ inadempienza agli obblighi di legge.

Discorso a parte, riveste, infine, la responsabilità degli amministratori pubblici nei confronti dei compiti loro riservati dal complesso di leggi e norme vigenti.

Mentre il cittadino comune è sempre e comunque tenuto al rispetto degli obblighi e dei termini di legge, si registra una generalizata assenza di sanzioni a carico di amministratori inadempienti a compiti loro attribuiti in virtù della carica ricoperta.

In una logica di pari diritti e doveri, sarà pertanto indispensabile prevedere la decadenza dalle funzioni e dagli incarichi ricoperti, sia amministrativi che elettivi, per i rappresentanti politici in seno agli enti pubblici, in caso di inadempienza nei confronti di precisi compiti, con relative scadenze, loro affidati in virtù di norme vigenti.